Attribuzione e ripartizione pro quota della pensione di reversibilità tra il coniuge superstite e il coniuge divorziato
Attribuzione e ripartizione pro quota della pensione di reversibilità tra il coniuge superstite e il coniuge divorziato
L’art. 9 co. 2 legge n. 898/1970 (come modificato dalla legge n. 74/1978) riconosce il diritto del coniuge rispetto al quale è stata pronunciata la sentenza di scioglimento o di cessazione degli effetti civili del matrimonio a percepire la pensione di reversibilità dell’ex coniuge deceduto, qualora sussistano tre condizioni:
- Il coniuge divorziato deve essere titolare di un assegno di mantenimento (ai sensi dell’art. 5 del legge sul divorzio), e deve averlo percepito periodicamente sino al momento del decesso dell’ex coniuge, e non mediante corresponsione di quanto dovuto in un’unica soluzione (cfr. Corte di Cassazione ordinanza n. 27875/2021);
- Il coniuge divorziato non deve aver contratto nuove nozze;
- Il rapporto lavorativo da cui trae origine il trattamento previdenziale dell’ex coniuge deceduto deve essere anteriore rispetto alla pronuncia che ha disposto lo scioglimento o la cessazione degli effetti civili del matrimonio
Orbene, qualora oltre al coniuge divorziato esista anche un coniuge superstite, entrambi i soggetti hanno diritto, a norma dell’art. 9 co. 3 L. 898/1970, a percepire ciascuno una quota della pensione di reversibilità del defunto, ma tale quota dovrà essere quantificata dal Tribunale competente, tenendo in considerazione i vari criteri di ripartizione individuati dalla Suprema Corte all’interno delle numerose pronunce in materia, ossia: I. la durata dei rispettivi matrimoni; II. le condizioni economiche delle parti interessate; III. la quantificazione dell’assegno di divorzio percepito dall’ex coniuge; IV. la durata delle convivenze prematrimoniali (cfr. Cassazione civile sez. un., 18/12/2023 n.35385, Cassazione civile sez. lav. 07/05/2020 n.8623, Cassazione civile sez. I, 21/09/2012, n.16093, e Cassazione civile sez. lav., 10/11/2023 n.31370).
Relativamente a tale ultimo criterio, giova evidenziare la recentissima pronuncia della Corte d’Appello di Roma, sez. lav., n.3359/2023, secondo cui deve riconoscersi alla convivenza more uxorio “non una semplice valenza “correttiva” dei risultati derivanti dall’applicazione del criterio della durata del rapporto matrimoniale, bensì un distinto ed autonomo rilievo giuridico, ove il coniuge interessato provi stabilità ed effettività della comunione di vita prematrimoniale…”
A cura di Studio Legale Avv. Donatella De Caria con la collaborazione dell’Avv. Giulia Valentini
Autore Immagine: pixabay.com