Accettazione e rinuncia all’eredità
GUIDA ALL’ACCETTAZIONE E ALLA RINUNCIA ALL’EREDITA’
Sommario: 1) l’accettazione dell’eredità. – 2) Le modalità dell’accettazione. – 3) Prescrizione e decadenza. – 4) Impugnabilità dell’accettazione. – 5) Accettazione con beneficio di inventario. – 6) La rinuncia all’eredità: forma e pubblicità.
– 7) Gli effetti della rinuncia. 8) La revoca della rinuncia. – 9) A chi si devolve l’eredità in caso di rinuncia? – 10) L’impugnazione della rinunzia all’eredità
***L’accettazione dell’eredità***
Ai sensi dell’art. 459 c.c., l’eredità si acquista con un atto di accettazione i cui effetti retroagiscono al momento dell’apertura della successione e, dunque, alla morte del de cuius. La Cassazione ha affermato al riguardo che «l’accettazione si considera avvenuta nel medesimo istante della delazione, sì che il tempo trascorso è tamquam non esset, il che è qualcosa di più della semplice retroattività» (così, Cass. n. 15397/2000).
L’accettazione consiste in una manifestazione di volontà volta al conseguimento della qualità di erede, ed è richiesta al solo successore universale (anche se il chiamato è un legittimario. Cfr. in tal senso Cass. n. 2408/1972) e non anche al legatario sul quale, dunque, non incombe alcun onere in tal senso per il conseguimento dell’acquisto del legato.
Si tratta di un atto irrevocabile e non più rinunciabile dopo il suo compimento; tuttavia, una volta effettuata la rinuncia ex art. 525 c.c., è ancora possibile l’accettazione.
Tra l’apertura della successione e l’accettazione dell’eredità – sempre che non si sia provveduto alla nomina di un curatore – il chiamato all’eredità può esercitare le azioni possessorie a tutela dei beni ereditari senza bisogno di materiale apprensione, può compiere atti conservativi, di vigilanza e di amministrazione temporanea e può farsi autorizzare dall’autorità giudiziaria a vendere i beni che non si possono conservare o la cui conservazione importa grave dispendio.
***Le modalità dell’accettazione***
L’accettazione può essere espressa, tacita o presunta.
Si ha accettazione espressa quando il chiamato all’eredità dichiara espressamente di volere accettare l’eredità o assume la qualità di erede in un atto pubblico o in una scrittura privata. Tale modalità non consente l’apposizione di termini o condizioni, né tantomeno la possibilità di una accettazione parziale, pena la nullità dell’intera dichiarazione.
L’accettazione è tacita quando il chiamato all’eredità compie un atto che non avrebbe il diritto di porre in essere se non nella sua qualità di erede e che, dunque, presuppone la sua volontà di accettare.
Costante giurisprudenza è concorde nell’escludere che la dichiarazione di successione, in quanto atto di natura fiscale, costituisca prova dell’accettazione (tacita) dell’eredità, che si ha invece quando il chiamato all’eredità compie un atto che presuppone la sua volontà di accettare e che non avrebbe diritto di compiere se non nella qualità di erede. Tant’è che «in presenza di una prova dell’accettazione tacita, la denuncia di successione assume un valore indiziario che diviene oggetto di valutazione e concorre, unitamente alle altre risultanze istruttorie, a fondare il libero convincimento del giudice» (Tribunale Spoleto sez. I, 09/09/2021, n.535; Cass., 16 gennaio 2017, n. 868).
Come chiarito da recente giurisprudenza, l’accettazione tacita di eredità può essere desunta da atti e comportamenti del chiamato che non hanno solo natura meramente fiscale – quale, ad esempio, la presentazione della denuncia di successione – ma che siano al contempo fiscali e civili, come ad esempio la voltura catastale, che rileva non solo dal punto di vista tributario, per il pagamento dell’imposta, ma anche dal punto di vista civile, per l’accertamento, legale o semplicemente materiale, della proprietà immobiliare e dei relativi passaggi. Ed infatti, «soltanto chi intenda accettare l’eredità», sostiene la Corte, «assume l’onere di effettuare la voltura catastale e di attuare il passaggio della proprietà dal de cuius a sé stesso» (Cass. civ., ordinanza 30 aprile 2021, n. 11478; Tribunale Aosta sez. I, 04/10/2021, n.282).
Con sentenza 22/01/2020 n.1438, la Cassazione civile ha ulteriormente confermato tale l’orientamento ponendo l’accento, nel caso sottoposto alla sua attenzione, sul fatto che il chiamato all’eredità viveva nell’immobile, vi aveva trasferito la propria residenza anagrafica e aveva pagato gli oneri condominiali, tutti atti non soltanto incompatibili con la volontà di rinunciare, ma addirittura concludenti e significativi della volontà di accettare.
Si ha accettazione presunta quando il chiamato all’eredità compie atti ai quali l’ordinamento riconnette automaticamente l’acquisto della stessa.
Esistono, infine, ipotesi nelle quali l’eredità si acquista ex lege senza che vi sia stato alcun atto di accettazione, espressa o tacita, come accade per il chiamato che abbia sottratto o nascosto beni ereditari (art. 527 c.c.).
***Prescrizione e decadenza***
Il diritto di accettare l’eredità di prescrive nel termine di dieci anni dall’apertura della successione (art. 480 c.c.) o dal giorno in cui si sia verificata la condizione alla quale è sottoposta l’istituzione di erede. Proprio per il carattere prescrizionale e non di decadenza del termine di cui sopra, la Suprema Corte ha precisato che un chiamato all’eredità può acquistare la qualità di erede per accettazione espressa o tacita dell’eredità anche dopo il decorso del termine di prescrizione decennale del diritto di accettare l’eredità di cui al comma 1 dell’art. 480 c.c., quando nessuno degli interessati sollevi tempestivamente l’eccezione di prescrizione (Cass. II, n. 12646/2020).
La legge prevede anche che l’autorità giudiziaria possa concedere, su richiesta di chiunque vi abbia interesse, un breve termine di decadenza entro il quale il chiamato dovrà dichiarare se intende accettare o rinunciare all’eredità, pena la decadenza dal diritto di accettare.
***Impugnabilità dell’accettazione***
Ai sensi dell’art. 482 c.c., l’accettazione può essere impugnata per violenza o dolo entro il termine di prescrizione di 5 anni dal giorno in cui è cessata la violenza o è stato scoperto il dolo.
La dottrina si è domandata se, in caso di impugnativa da parte dell’accettante, questi debba essere considerato come rinunziante con possibilità di applicazione dell’art. 525 c.c. o se torni nella condizione giuridica di semplice chiamato, precludendo in tal modo l’accettazione da parte dei chiamati ulteriori. Secondo F. Gazzoni, Manuale di Diritto Privato, 454, la prima soluzione appare la più equa sul piano della coerenza dei comportamenti, ma la seconda sarebbe da preferire nei limiti in cui non sia configurabile una rinunzia per comportamento concludente pienamente opponibile.
Il successivo art. 483 c.c. esclude invece l’impugnabilità per errore. E’ tuttavia previsto che, qualora dopo l’accettazione venga scoperto un testamento del quale non si aveva notizia, l’erede non è tenuto a soddisfare i legati scritti in esso oltre il valore dell’eredità o con pregiudizio della porzione di legittima che gli è dovuta.
Si ritiene in dottrina che la norma concerna il solo “errore vizio” e non anche quello ostativo di cui all’art. 1433 c.c., mancando in tal caso la stessa volontà di accettare (L. Ferri, Disposizioni generali sulle successioni, CSB, 1997).
***Accettazione con beneficio di inventario***
Riguardo agli effetti, la legge distingue tra accettazione pura e semplice e accettazione con beneficio di inventario.
La prima dà luogo a una vera e propria confusione tra il patrimonio del defunto e quello dell’erede, con la conseguenza che quest’ultimo sarà obbligato al pagamento dei debiti del de cuius anche qualora superino l’attivo che gli perviene dall’eredità.
L’accettazione con beneficio d’inventario dà luogo, invece, alla separazione dei beni del defunto da quelli dell’erede con la conseguenza che l’erede non sarà tenuto al pagamento dei debiti ereditari e dei legati oltre il valore dei beni a lui pervenuti e i creditori ereditari non potranno agire sui beni dell’erede per il soddisfacimento dei propri crediti, ma avranno preferenza sul patrimonio ereditario di fronte ai creditori dell’erede (Cassazione civile sez. II, 22/12/2020, n.29252).
L’accettazione con beneficio d’inventario è un atto personale frutto di una libera scelta dell’erede e non può subire alcuna limitazione o essere vietato dal testatore con eventuali clausole testamentarie.
L’art. 471 c.c. la impone come modalità di accettazione obbligatoria per alcune categorie di soggetti come gli incapaci e le persone giuridiche o gli enti non riconosciuti, al fine di tutelarli da acquisti dell’eredità poco convenienti.
Dottrina e giurisprudenza specificano al riguardo che un’accettazione pura e semplice compiuta da uno dei soggetti indicati, a mezzo del legale rappresentante o con l’intervento del curatore sarebbe non annullabile, bensì radicalmente nulla (Cicu, in Tr. C. M., 197) trattandosi di vera e propria incapacità giuridica. Per tale ragione, «l’accettazione tacita che il loro rappresentante legale facesse sarebbe, in quanto pura e semplice (com’è sempre l’accettazione tacita), radicalmente invalida e priva di ogni effetto, non conferendo ai minori la qualità di eredi e lasciando, peraltro, intatta la facoltà — da esercitarsi nel termine di prescrizione di cui all’art. 480, a seconda dei casi, dal rappresentante legale o dai medesimi minori, una volta divenuti maggiorenni — di accettare col beneficio d’inventario o, nel secondo caso, anche puramente e semplicemente, ovvero di rinunciare» (Cass. n. 21456/2017; Cass. n. 2276/1995; Cass. n. 1267/1986; Cass. n. 5327/1981).
Per l’accettazione con beneficio d’inventario è prescritta la forma scritta ad substantiam. La stessa deve infatti risultare da una dichiarazione ricevuta da un notaio o dal cancelliere del Tribunale in cui si è aperta la successione ed essere inserita nel registro delle successioni conservato nello stesso tribunale. E’ inoltre previsto un particolare regime di pubblicità-notizia che impone la trascrizione dell’accettazione a cura del cancelliere entro un mese dall’inserzione, presso l’ufficio dei registri immobiliari del luogo in cui si è aperta la successione.
L’accettazione deve essere preceduta o seguita dall’inventario entro un termine che varia a seconda che l’erede sia o meno nel possesso dei beni ereditari e a seconda che lo stesso abbia già redatto o meno l’inventario (artt. 485 e 487 c.c.). Secondo quanto ribadito dalla Suprema Corte, il possesso dei beni ereditari si esaurisce in una mera relazione materiale tra chiamato e beni (Cass. n. 7076/1995; Cass. n. 4707/1994; Cass. n. 4835/1980) e presuppone «la consapevolezza che si tratti di beni appartenenti al relictum ereditario» (Cass. n. 2067/1964; conf. Cass. n. 4707/1994).
Il nostro codice contempla al riguardo due ipotesi di decadenza dal beneficio, con conseguente assunzione della qualifica di erede puro e semplice, nel caso di alienazione dei beni ereditari senza l’autorizzazione del giudice (art. 493 c.c.) e in quello di omissioni e infedeltà nella redazione dell’inventario (art. 494 c.c.).
Una volta formalizzata l’accettazione con beneficio d’inventario, l’erede sarà tenuto all’amministrazione del patrimonio ereditario anche nell’interesse dei creditori del defunto e dei legatari e al pagamento di questi ultimi man mano che si presentano o mediante una procedura di liquidazione concorsuale disciplinata dagli artt. 498 s. c.c. o, ancora, attraverso il rilascio dei beni ereditari ai sensi degli artt. 507 s. c.c.
*** La rinuncia all’eredità: forma e pubblicità***
Il chiamato all’eredità può manifestare il suo proposito di non volere accettare l’eredità mediante rinuncia formale da effettuarsi per il tramite di una dichiarazione unilaterale e non recettizia che sarà ricevuta, come per l’accettazione con beneficio d’inventario, da un notaio o dal cancelliere del tribunale del circondario in cui si è aperta la successione e inserita nel registro delle successioni.
Secondo quanto precisato dalla giurisprudenza, l’inserzione dell’atto di rinuncia all’eredità nel registro delle successioni costituisce una forma di pubblicità funzionale a rendere la rinuncia opponibile ai terzi e non ai fini della sua validità. Ne consegue che il creditore ereditario, che agisca in giudizio contro l’erede per il pagamento dei debiti del de cuius, a fronte della produzione di un atto pubblico di rinunzia all’eredità, ha l’onere di provare, anche solo mediante l’acquisizione di una certificazione della cancelleria del tribunale competente, il mancato inserimento dell’atto de quo nel registro delle successioni (Tribunale, Palermo, sez. II, 11/08/2021, n. 3316).
Al fine di tutelare certezza e stabilità dei rapporti giuridici, la rinuncia non può essere parziale o sottoposta a condizione o termine, a pena di nullità.
*** Gli effetti della rinuncia***
Per garantire la continuità nella titolarità dei beni ereditari, la rinunzia avrà efficacia retroattiva con la conseguenza che chi rinunzia all’eredità è considerato come se non vi fosse mai stato chiamato (art. 521 c.c.).
Sul punto recente Cassazione ha evidenziato come il chiamato all’eredità, che abbia ad essa validamente rinunciato, non risponde dei debiti tributari del de cuius, neppure per il periodo intercorrente tra l’apertura della successione e la rinuncia, neanche se risulti tra i successibili ex lege o abbia presentato la dichiarazione di successione (che non costituisce accettazione), in quanto, avendo la rinuncia effetto retroattivo ex art. 521 c.c., egli è considerato come mai chiamato alla successione e non deve più essere annoverato tra i successibili (Cass. II, n. 15871/2020).
Un recente orientamento del Tribunale di Roma ha tuttavia chiarito come la rinuncia all’eredità vada dichiarata inefficace nei confronti di chi vanti un credito verso il rinunziante, «ove difetti una solidità patrimoniale di quest’ultimo idonea a garantire la soddisfazione del credito, risulti l’esistenza di attivo nell’eredità rinunciata e il debitore non abbia provato la capienza del proprio patrimonio nonostante la rinuncia» (Tribunale Roma, 18/03/2021).
Secondo la giurisprudenza, è altresì inefficace la rinuncia all’eredità effettuata dopo la scadenza del termine di cui all’art. 485 c.c. per l’effettuazione dell’inventario (Cassazione civile sez. II, 10/03/2017, n.6275).
*** La revoca della rinuncia***
L’art. 525 c.c. contempla la possibilità di revocare la rinuncia a condizione che il diritto di accettare l’eredità non si sia prescritto e sempre che l’eredità, nel frattempo, non sia stata accettata da un altro chiamato all’eredità.
Sulla ammissibilità o meno della revoca tacita della rinuncia si sono espressi due contrapposti orientamenti giurisprudenziali: un primo indirizzo ammette che l’accettazione successiva alla rinuncia possa essere anche tacita, allorquando il comportamento del rinunciante sia incompatibile con la volontà di non accettare la vocazione ereditaria (Cass. n. 6070/2012); in senso opposto, un secondo orientamento sostiene la non ammissibilità della revoca tacita della rinuncia, essendo, questa, un atto a forma solenne (Cass. n. 4846/2003; Cass. n. 21014/2011; Cass. n. 3958/2014).
***A chi si devolve l’eredità in caso di rinuncia?***
Il soggetto al quale sarà devoluta l’eredità del rinunciante viene individuato in modo differente a seconda che ci si trovi al cospetto di una successione legittima o di una testamentaria. Nel primo caso, la parte di colui che rinuncia accresce la quota di coloro che avrebbero concorso col rinunziante, fatta salva l’operatività della rappresentazione, che dunque prevale sull’accrescimento. Se il rinunziante è solo, l’eredità viene invece devoluta a coloro ai quali spetterebbe nel caso in cui egli mancasse.
In caso di successione testamentaria, se il testatore non ha disposto una sostituzione e non ha luogo la rappresentazione, la parte del rinunziante si accresce ai coeredi o si devolve agli eredi legittimi. In questo caso, al fine di salvaguardare la volontà del testatore, l’art. 523 c.c. stabilisce la prevalenza della sostituzione sulla rappresentazione e sull’accrescimento.
A norma dell’art. 524 c.c., i creditori del rinunziante possono farsi autorizzare ad accettare l’eredità in nome e luogo del rinunziante al solo fine di soddisfare il loro credito sui beni ereditari entro il termine di prescrizione di cinque anni dalla rinunzia. Con tale rimedio, essi non acquistano la qualità di eredi né tale qualità è acquistata dal rinunciante.
***L’impugnazione della rinunzia all’eredità***
La giurisprudenza individua, quale unico presupposto di carattere oggettivo e necessario per l’esercizio dell’impugnazione della rinunzia ad un’eredità da parte dei creditori, che la rinunzia stessa importi un danno per i creditori del debitore, in quanto il suo patrimonio personale non basti a soddisfarli e l’eredità presenti un attivo. Non è invece richiesto che la rinunzia all’eredità sia stata preordinata allo specifico scopo d’impedire ai creditori di soddisfarsi, e neppure che vi sia, da parte del debitore, la consapevolezza del pregiudizio loro arrecato. Quanto al presupposto del danno, è sufficiente la sua prevedibilità al momento della proposizione dell’azione di cui all’art. 524 e, dunque, che ricorrano fondate ragioni per ritenere i beni personali del debitore non sufficienti per soddisfare del tutto i suoi creditori (Cass. n. 8519/2016; Cass. n. 2394/1974; Cass. n. 3548/1995).
Come per l’accettazione, la rinunzia può essere inoltre impugnata per violenza o dolo (mentre è irrilevante l’errore) entro il termine prescrizionale di cinque anni dalla cessazione della violenza o dalla scoperta del dolo.
Ai sensi dell’art. 527 c.c., infine, il chiamato all’eredità che abbia sottratto o nascosto beni spettanti all’eredità stessa perde il diritto di rinunciarvi acquistando così l’eredità a titolo sanzionatorio.
Anche il chiamato all’eredità che si trovi nel possesso dei beni ereditari e non abbia fatto l’inventario entro tre mesi dall’apertura della successione, verrà considerato erede puro e semplice con conseguente perdita della facoltà di rinunciare.