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Nuove disposizioni in materia di pari opportunità tra uomo e donna in ambito lavorativo

Il 18 novembre 2021 è stata pubblicata in Gazzetta Ufficiale – Serie Generale n. 275 – la Legge 5 novembre 2021, n. 162 recante “Modifiche al codice di cui al decreto legislativo 11 aprile 2006, n. 198, e altre disposizioni in materia di pari opportunità tra uomo e donna in ambito lavorativo”.
Il provvedimento, che entrerà in vigore il 3 dicembre 2021, sostituisce il primo comma dell’art. 20 del codice delle pari opportunità tra uomo e donna, disponendo che «1. La consigliera o il consigliere nazionale di parità, anche sulla base del rapporto di cui all’articolo 15, comma 7, nonché delle indicazioni fornite dal Comitato di cui all’articolo 8, presenta al Parlamento, ogni due anni, una relazione contenente i risultati del monitoraggio sull’applicazione della legislazione in materia di parità e pari opportunità nel lavoro e sulla valutazione degli effetti delle disposizioni del presente decreto. 2. In sede di prima applicazione dell’articolo 20, comma 1, del codice delle pari opportunità tra uomo e donna, di cui al decreto legislativo 11 aprile 2006, n. 198, come sostituito dal comma 1 del presente articolo, la consigliera o il consigliere nazionale di parità presenta la relazione di cui al medesimo comma entro il 30 giugno dell’anno successivo a quello in corso alla data di entrata in vigore della presente legge».

La novella modifica inoltre l’art. 25 del suddetto codice fornendo un’esplicita definizione di discriminazione, intesa come «ogni trattamento o modifica dell’organizzazione delle condizioni e dei tempi di lavoro che, in ragione del sesso, dell’età anagrafica, delle esigenze di cura personale o familiare, dello stato di gravidanza nonché di maternità o paternità, anche adottive, ovvero in ragione della titolarità e dell’esercizio dei relativi diritti, pone o può porre il lavoratore in almeno una delle seguenti condizioni:

  1. a) posizione di svantaggio rispetto alla generalità degli altri lavoratori;
  2. b) limitazione delle opportunità di partecipazione alla vita o alle scelte aziendali;
  3. c) limitazione dell’accesso ai meccanismi di avanzamento e di progressione nella carriera».

Un ulteriore emendamento interessa anche l’art. 46 del citato Codice prevedendo l’abbassamento da cento a cinquanta dipendenti della soglia oltre la quale le aziende sono tenute a redigere un rapporto ogni due anni sulla situazione del personale maschile e femminile in ognuna delle professioni ed in relazione allo stato di assunzioni, della formazione, della promozione professionale, dei livelli, dei passaggi di categoria o di qualifica, di altri fenomeni di mobilità, dell’intervento della Cassa integrazione guadagni, dei licenziamenti, dei prepensionamenti e pensionamenti, della retribuzione effettivamente corrisposta. Viene al riguardo introdotto l’obbligo di redigere il suddetto rapporto biennale «in modalità esclusivamente telematica, attraverso la compilazione di un modello pubblicato nel sito internet istituzionale del Ministero del lavoro e delle politiche sociali e trasmesso alle rappresentanze sindacali aziendali» prevedendosi altresì che «La consigliera e il consigliere regionale di parità, che accedono attraverso un identificativo univoco ai dati contenuti nei rapporti trasmessi dalle aziende aventi sede legale nel territorio di competenza, elaborano i relativi risultati trasmettendoli alle sedi territoriali dell’Ispettorato nazionale del lavoro, alla consigliera o al consigliere nazionale di parità, al Ministero del lavoro e delle politiche sociali, al Dipartimento per le pari opportunità della Presidenza del Consiglio dei ministri, all’Istituto nazionale di statistica e al Consiglio nazionale dell’economia e del lavoro. L’accesso attraverso l’identificativo univoco ai dati contenuti nei rapporti è consentito altresì alle consigliere e ai consiglieri di parità delle città metropolitane e degli enti di area vasta di cui alla legge 7 aprile 2014, n. 56, con riferimento alle aziende aventi sede legale nei territori di rispettiva competenza. Il Ministero del lavoro e delle politiche sociali pubblica, in un’apposita sezione del proprio sito internet istituzionale, l’elenco delle aziende che hanno trasmesso il rap- porto e l’elenco di quelle che non lo hanno trasmesso».

Il legislatore della novella deferisce al Ministro del lavoro e delle politiche sociali, di concerto con il Ministro delegato per le pari opportunità, il compito di definire, con proprio decreto, i criteri per la redazione del suddetto rapporto biennale «che deve in ogni caso indicare il numero dei lavoratori occupati di sesso femminile e di sesso maschile, il numero dei lavoratori di sesso femminile eventualmente in stato di gravidanza, il numero dei lavoratori di sesso femminile e maschile eventualmente assunti nel corso dell’anno, le differenze tra le retribuzioni iniziali dei lavoratori di ciascun sesso, l’inquadramento contrattuale e la funzione svolta da ciascun lavoratore occupato, anche con riferimento alla distribuzione fra i lavoratori dei contratti a tempo pieno e a tempo parziale, nonché l’importo della retribuzione complessiva corrisposta, delle componenti accessorie del salario, delle indennità, anche collegate al risultato, dei bonus e di ogni altro beneficio in natura ovvero di qualsiasi altra erogazione che siano stati eventualmente riconosciuti a ciascun lavoratore». Il Ministro incaricato dovrà altresì prevedere «b) l’obbligo di inserire nel rapporto informazioni e dati sui processi di selezione in fase di assunzione, sui processi di reclutamento, sulle procedure utilizzate per l’accesso alla qualificazione professionale e alla formazione manageriale, sugli strumenti e sulle misure resi disponibili per promuovere la conciliazione dei tempi di vita e di lavoro, sulla presenza di politiche aziendali a garanzia di un ambiente di lavoro inclusivo e rispettoso e sui criteri adottati per le progressioni di carriera; c) le modalità di accesso al rapporto da parte dei dipendenti e delle rappresentanze sindacali dell’azienda interessata, nel rispetto della tutela dei dati personali, al fine di usufruire della tutela giudiziaria ai sensi del presente decreto».

Sarà poi compito dell’Ispettorato Nazionale del lavoro, nell’ambito delle sue attività, verificare la veridicità dei rapporti biennali e applicare una sanzione amministrativa pecuniaria da 1.000 a 5.000 euro nel caso di rapporto mendace o incompleto.

E ancora, la nuova legge introduce l’art. 46-bis istituendo, a decorrere dal 1° gennaio 2022, la certificazione della parità di genere al fine di attestare le politiche e le misure concrete adottate dai datori di lavoro per ridurre il divario di genere in relazione alle opportunità di crescita in azienda, alla parità salariale a parità di mansioni, alle politiche di gestione delle differenze di genere e alla tutela della maternità. Con uno o più decreti successivi, inoltre, il Presidente del Consiglio dei Ministri dovrà stabilire: «a) i parametri minimi per il conseguimento della certificazione della parità di genere da parte delle aziende di cui all’articolo 46, commi 1 e 1-bis, con particolare riferimento alla retribuzione corrisposta, alle opportunità di progressione in carriera e alla conciliazione dei tempi di vita e di lavoro, anche con riguardo ai lavoratori occupati di sesso femminile in stato di gravidanza; b) le modalità di acquisizione e di monitoraggio dei dati trasmessi dai datori di lavoro e resi disponibili dal Ministero del lavoro e delle politiche sociali; c) le modalità di coinvolgimento delle rappresentanze sindacali aziendali e delle consigliere e dei consiglieri di parità regionali, delle città metropolitane e degli enti di area vasta di cui alla legge 7 aprile 2014, n. 56, nel controllo e nella verifica del rispetto dei parametri di cui alla lettera a); d) le forme di pubblicità della certificazione della parità di genere».

Al rafforzamento della parità uomo/donna in ambito lavorativo contribuisce altresì l’istituzione, presso il Dipartimento per le pari opportunità della Presidenza del Consiglio dei ministri, di un Comitato tecnico permanente sulla certificazione di genere nelle imprese, costituito da rappresentanti del medesimo Dipartimento per le pari opportunità, del Ministero del lavoro e delle politiche sociali, del Ministero dello sviluppo economico, delle consigliere e dei consiglieri di parità, da rappresentanti sindacali e da esperti individuati secondo modalità definite con decreto del Presidente del Consiglio dei ministri o del Ministro delegato per le pari opportunità, di concerto con il Ministro del lavoro e delle politiche sociali e con il Ministro dello sviluppo economico.

L’art. 5 della novella introduce infine, a partire da gennaio 2022, una premialità di parità esonerando le aziende private che siano in possesso della certificazione della parità di genere di cui all’articolo 46-bis e nel limite di 50 milioni di euro, dal versamento dei complessivi contributi previdenziali a carico del datore di lavoro, ferma restando l’aliquota di computo delle prestazioni pensionistiche. Tale esonero è determinato «in misura non superiore all’1 per cento e nel limite massimo di 50.000 euro annui per ciascuna azienda, riparametrato e applicato su base mensile, con decreto del Ministro del lavoro e delle politiche sociali, di concerto con il Ministro dell’economia e delle finanze e con il Ministro delegato per le pari opportunità, da adottare entro il 31 gennaio 2022, assicurando il rispetto del limite di spesa di 50 milioni di euro di cui al comma 1».

Alle aziende private che, alla data del 31 dicembre dell’anno precedente a quello di riferimento, siano in possesso della certificazione della parità di genere di cui all’articolo 46-bis, verrà inoltre riconosciuto un punteggio premiale per la valutazione, da parte di autorità titolari di fondi europei nazionali e regionali, di proposte progettuali ai fini della concessione di aiuti di Stato a cofinanziamento degli investimenti sostenuti. La novella prevede infine che, «compatibilmente con il diritto dell’Unione europea e con i princìpi di parità di trattamento, non discriminazione, trasparenza e proporzionalità, le amministrazioni aggiudicatrici indicano nei bandi di gara, negli avvisi o negli inviti relativi a procedure per l’acquisizione di servizi, forniture, lavori e opere i criteri premiali che intendono applicare alla valutazione dell’offerta in relazione al possesso da parte delle aziende private, alla data del 31 dicembre dell’anno precedente a quello di riferimento, della certificazione della parità di genere di cui all’arti- colo 46-bis».

L’art. 6 della nuova legge precisa, ancora, che le disposizioni di cui al comma 1-ter dell’articolo 147-ter del testo unico delle disposizioni in materia di intermediazione finanziaria, di cui al decreto legislativo 24 febbraio 1998, n. 58, si applicano anche alle società, costituite in Italia, controllate da pubbliche amministrazioni ai sensi dell’articolo 2359, commi primo e secondo, del codice civile, non quotate in mercati regolamentati.

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

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