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MODIFICA DELL’ASSEGNO DI DIVORZIO: RILEVANO SOLO LE CONDIZIONI PATRIMONIALI DELL’EX CONIUGE OBBLIGATO A PAGARLO SUCCESSIVE ALLA PRECEDENTE DETERMINAZIONE

MODIFICA DELL’ASSEGNO DI DIVORZIO: RILEVANO SOLO LE CONDIZIONI PATRIMONIALI DELL’EX CONIUGE OBBLIGATO A PAGARLO SUCCESSIVE ALLA PRECEDENTE DETERMINAZIONE – IL GIUDICE NON PUO’ OPERARE UN NUOVO GIUDIZIO SULLA SPETTANZA DELL’ASSEGNO

(Cass. Civ., Sez. VI, 21/02/2022, n.5619)

“Il compito del giudice di merito, nell’ambito di un giudizio di revisione delle condizioni di divorzio, non è quello di operare un nuovo giudizio sulla spettanza e quantificazione dell’assegno, alla luce dei criteri di cui alla l. n. 898 del 1970, art. 6, comma 5, come modificata dalla L. n. 87 del 1987, ma di verificare se i fatti sopravvenuti alla sentenza di divorzio o ai provvedimenti modificativi già adottati, essendo indicativi del peggioramento delle condizioni patrimoniali dell’obbligato o del miglioramento di quelle dell’ex coniuge beneficiario, integrino “giusti motivi” idonei a giustificare la revisione delle condizioni di divorzio, L. n. 898 del 1970, ex art. 9, comma 1, e ciò all’esito del confronto tra le condizioni di allora.”

 

LA VICENDA PROCESSUALE:

L’ex marito propone reclamo avverso la decisione del Tribunale di Vicenza che rigetta la sua richiesta di eliminazione o riduzione dell’assegno divorzile, di cui risulta beneficiaria l’ex moglie.

I Giudici di secondo grado rigettano il reclamo escludendo che siano sopravvenuti  fatti idonei a giustificare la revisione delle condizioni di divorzio da ultimo fissate (con decreto della stessa Corte in data 18 febbraio 2013 in sede di revisione). In particolare, la Corte d’Appello evidenzia che Il reddito dichiarato dal V. nel 2019 è adeguato e leggermente aumentato, mentre la G. non svolge attività lavorativa, ha settant’anni, non ha altre fonti di reddito e non è proprietaria di immobili capaci di produrre redditi.

A seguito del rigetto l’ex marito viene propone ricorso per Cassazione per i seguenti motivi:

  • violazione della L. n. 898 del 1970, art. 9, e vizio di motivazione su fatto decisivo della controversia, in quanto la Corte ha ritenuto non provato il peggioramento della situazione patrimoniale del ricorrente, nonostante egli non percepisse più introiti ulteriori rispetto alla pensione, precedentemente derivanti da un’attività di consulenza ormai cessata;
  • violazione della L. n. 898 del 1970, artt. 5 e 9, e vizio di motivazione su fatto decisivo della controversia, per non avere considerato che la misura dell’assegno era stata parametrata sul reddito del 2013 del ricorrente e che il suo reddito attuale è costituito dalla sola pensione;
  • violazione dei medesimi parametri suindicati e totale assenza di motivazione nel calcolo della pensione effettuato dalla Corte.

La Corte accoglie il ricorso, cassa la sentenza impugnata e rinvia alla Corte d’appello di Venezia anche per le spese.

 

MOTIVI DELLA DECISIONE:

La Cassazione ritiene che l’affermazione della Corte secondo cui “non sia stata dimostrata alcuna circostanza di fatto sopravvenuta, tale da giustificare una significativa revisione del regime in atto”, avrebbe richiesto una specifica ricognizione delle condizioni patrimoniali dell’obbligato all’attualità, da porre a confronto con quelle esistenti nel febbraio 2013 per come valutate nel decreto di revisione che lo aveva determinato nell’importo di Euro 2000,00. Ed invece, la Corte si è limitata a riferire del rilevante imponibile dichiarato dal V. nell’anno 2019 (la pensione percepita nello stesso anno sarebbe di importo superiore a quello indicato da reclamante), impropriamente comparandolo a quello risultante dalla dichiarazione dei redditi del 2017, senza operare il necessario confronto con le condizioni (neppure indicate nella sentenza) poste a fondamento nel 2013 della quantificazione dell’assegno nella misura contestata di Euro 2000,00.

 

Secondo la Cassazione, dunque, la Corte d’Appello di Venezia è incorsa in un errore prospettico, che l’ha indotta a svolgere una nuova valutazione sulla spettanza e sulla quantificazione dell’assegno. Indicativo di tale errore, sempre secondo i Giudici Supremi, è l’accento prevalente che la Corte territoriale ha posto sulle condizioni di vita ed economiche dell’ex moglie (persona settantenne e priva di altre fonti di reddito, ecc.) che, a dire della stessa,  giustificherebbero l’attribuzione dell’assegno in quell’importo, alla luce dei criteri di cui alla L. del 1970, art. 5, comma 6,’ senza considerare l’oggetto del giudizio che è la verifica della sopravvenienza di giusti motivi per la revisione delle condizioni di divorzio, all’esito del confronto tra le condizioni di uno dei (o di entrambi i) coniugi all’attualità rispetto a quelle esistenti all’epoca in cui l’assegno è stato attribuito e determinato.

Di conseguenza v’è stata “una falsa applicazione del parametro normativo che imponeva alla Corte di valutare se le pur (in ipotesi) adeguate condizioni reddituali dell’obbligato all’attualità fossero tuttavia meno elevate di quelle godute fino al 2013 e, di conseguenza, se sussistessero “giusti motivi” per disporre la revisione dell’assetto economico postdivorzile, dovendosi valutare la sostenibilità dell’assegno in essere da parte dell’obbligato all’attualità”.

Studio Legale Avv. Donatella De Caria

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