La Laurea del coniuge può rilevare ai fini della determinazione e quantificazione dell’assegno divorzile
- La vicenda processuale
Il giudizio di primo grado
In un procedimento di cessazione degli effetti civili del matrimonio concordatario, il Tribunale di Salerno, con sentenza del 18.07.2017, assegnava la casa coniugale alla ex moglie ponendo a carico dell’ex marito l’obbligo di corrispondere a quest’ultima l’assegno divorzile pari ad euro 1400,00 mensili e di versare direttamente ai figli maggiorenni non economicamente autosufficienti l’assegno di 1000,00 Euro al mese ciascuno.
Il giudizio di appello
Avverso tale sentenza proponeva appello l’ex marito, chiedendo la revoca ed in subordine la riduzione dell’assegno divorzile, nonché la revoca dell’ assegno di mantenimento per i figli maggiorenni in ragione della loro autosufficienza economica, ovvero la riduzione dell’importo di mantenimento comprensivo delle spese straordinarie nella misura minima.
La donna si costituiva in giudizio e proponeva appello incidentale, chiedendo l’aumento dell’assegno divorzile e la conferma delle statuizioni relative al mantenimento dei figli, con obbligo per il padre di provvedere alle spese straordinarie.
La Corte di Appello di Salerno, con sentenza pubblicata il 24/04/2018, confermava la statuizione sulla assegnazione della casa coniugale, revocava l’assegno di mantenimento per uno dei due figli dalla stessa ritenuto economicamente autosufficiente, mentre lo confermava per quello che, pur frequentando l’Università in una città diversa da quella in cui era ubicata l’abitazione coniugale, aveva sempre fatto ritorno in detta abitazione durante le festività ed i periodi di sospensione delle attività universitarie.
Il medesimo Giudice di secondo grado disponeva la diminuzione dell’assegno divorzile rispetto all’importo stabilito nella sentenza impugnata, rideterminandolo nella somma di 900,00 euro mensili.
Il Collegio investito dell’appello, sul punto rilevava, tra l’altro, che l’ex moglie non aveva assolto all’onere probatorio gravante sulla stessa di dimostrare la mancanza di sufficienti risorse economiche e l’impossibilità di procurarsele ma pure che la donna era laureata in fisioterapia, godeva di un buono stato di salute e, nonostante l’età di 61 anni, aveva la possibilità di svolgere l’attività di fisioterapista anche privatamente poiché aveva già esercitato in passato tale attività presso una struttura pubblica conseguendone la professionalità.
Più precisamente, secondo i Giudici di appello, la donna, in quanto fisioterapista, avrebbe potuto in concreto godere di risorse economiche che, sommate a quelle dell’assegno divorzile di 900,00 euro mensili, le avrebbero consentito di godere di un’esistenza dignitosa ed adeguata “tenuto conto della lunga durata del matrimonio, della contribuzione della stessa al successo professionale del marito ed alla formazione del cospicuo patrimonio immobiliare, nonché dell’agiato tenore di vita vissuto dalla famiglia nel suo complesso durante la convivenza matrimoniale ed avuto riguardo alla posizione economica del marito come emergente dagli atti di causa e come evidenziata nella sentenza di primo grado”.
- Il ricorso per cassazione
Avverso la sentenza della Corte di Appello la donna proponeva ricorso per cassazione limitatamente al capo riguardante la quantificazione dell’assegno divorzile.
Il solo ed unico motivo del ricorso per cassazione
La ricorrente con un unico motivo deduceva la violazione e falsa applicazione della L. n. 898 del 1970, art. 5, comma 6, in combinato disposto con gli artt. 2,3,29 Cost., e con l’art. 143 c.c.., lamentando che la Corte di Appello “aveva erroneamente attribuito all’assegno divorzile una mera funzione assistenziale e non anche perequativo-compensativa, riducendone impropriamente il quantum rispetto a quanto statuito dal primo giudice”.
In particolare, a dire della donna la quantificazione dell’assegno divorzile non aveva tenuto conto dei compiti e dei ruoli svolti da entrambi i coniugi durante la pregressa vita matrimoniale e della solidarietà esistente tra i medesimi sia nella fase coniugale sia in quella post-coniugale.
- Il rigetto del ricorso per cassazione ed i motivi
I Supremi Giudici rigettavano il ricorso sul presupposto che la Corte di Appello aveva correttamente applicato” i principi stabiliti dalle Sezioni Unite della Corte di Cassazione con la sentenza n. 18278/2018, secondo la quale il riconoscimento dell’assegno di divorzio in favore dell’ex coniuge – cui deve attribuirsi una funzione assistenziale ed in pari misura compensativa e perequativa, ai sensi della L. n. 898 del 1970, art. 5, comma 6, – richiede l’accertamento dell’inadeguatezza dei mezzi dell’ex coniuge istante e dell’impossibilità di procurarseli per ragioni oggettive, applicandosi i criteri equiordinati di cui alla prima parte della norma, i quali costituiscono il parametro cui occorre attenersi per decidere sia sulla attribuzione sia sulla quantificazione dell’assegno. Il giudizio dovrà essere espresso, in particolare, alla luce di una valutazione comparativa delle condizioni economico-patrimoniali delle parti, in considerazione del contributo fornito dal richiedente alla conduzione della vita familiare ed alla formazione del patrimonio comune, nonché di quello personale di ciascuno degli ex coniugi, in relazione alla durata del matrimonio ed all’età dell’avente diritto.”
In particolare nel caso in esame, secondo la Corte di Cassazione, il giudice di secondo grado aveva riconosciuto la necessità di integrare il criterio dell’autosufficienza economica con i criteri previsti dalla L. cit., art. 5, dei quali aveva pienamente tenuto conto alla luce delle risultanze istruttorie e della documentazione presente in atti.
La sentenza quindi risultava basata su una pluralità di fattori quali l’assegnazione alla donna della casa familiare (ed il conseguente esonero di spesa per la locazione e per la gestione della casa), la capacità della medesima di svolgere attività lavorativa quale fisioterapista, la lunga durata del matrimonio, la contribuzione della ricorrente al successo professionale del marito ed alla formazione del cospicuo patrimonio immobiliare, l’agiato tenore di vita vissuto dalla famiglia nel suo complesso durante la convivenza matrimoniale e la posizione economica e professionale del marito.
Infine in relazione al difetto probatorio rilevato nel giudizio di appello, riguardante la mancata prova da parte della ricorrente della carenza di risorse economiche e dell’impossibilità di procurarsele, la Corte di Cassazione ha evidenziato come non possa ritenersi superato sulla base “ di una generica impossibilità di reinserimento nel mondo del lavoro ed un altrettanto generico apporto dato alla cura della casa e dei figli, nonché alla crescita professionale del marito; circostanze, queste, non supportate da alcun elemento concreto atto a scalfire la ratio del provvedimento impugnato”.
Avv. Donatella De Caria del Foro di Roma
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